Guanyin Avalokitesvara Bodhisattva

Guanyin, madre della compassione

Guanyin, la madre del Buddha
Ci siamo già incontrate, al Kek Lok Si (Penang, Malesia)

Guanyin rappresenta la personificazione femminile di Avalokitesvara, bodhisattva della compassione, a cui è collegato il mantra Om Mani Padme Hum. Venerata nel Buddhismo Mahayana come un bodhisattva: in questa tradizione le viene attribuito il Sutra del Cuore; mentre nella tradizione Taoista le viene attribuito il dono dell’immortalità. Nel Buddhismo tibetano è invece associata a Tara

Letteralmente il suo nome significa “Colei che ascolta i lamenti del mondo”

Non deve stupire che in alcune tradizioni il bodhisattva della grande compassione sia raffigurato come un uomo, in altre come una donna: di fatto, come scritto nei Sutra buddhisti – in particolare nel Sutra del Cuore – non importa se esso sia femmina, maschio o addirittura senza un genere definito, in quanto l’essenza ultima della realtà è il vuoto. In questa affermazione si concretizza il concetto di non dualità, caratteristico del Buddhismo Mahaiana.

Alcuni studiosi hanno osservatoe similitudini tra la figura di Guanyin e quella della Vergine Maria nella religione cristiana. Spesso Guanyin viene rappresentata con in braccio un bambino. Questa iconografia cominciò a diffondersi in Giappone quando fu bandita la religione cristiana, allora comparve questa versione particolare di Guanyin, conosciuta anche come Kannon: molte sculture di questo periodo riportano, in punti nascosti alla vista, inciso o disegnato, il simbolo del crocefisso.

Come Tara, è a gambe incrociate e ci guarda con occhi compassionevoli e gentili. Sembra il tipo di persona a cui ci si può rivolgere quando ci si sente sconfitti e privi di energia per mettere in atto le normali difese e finzioni. Ha uno scialle sulle spalle fragili, una catena finemente scolpita al collo e un fiore di loto nella mano sinistra.

Come il Buddha, in giovane età fu colpita dalla prevalenza della sofferenza e ribellandosi alle aspettative dei genitori, scappò di casa per entrare in un monastero e dedicarsi ai bisognosi. Il padre, crudele e moralista, si infuriò per quella che considerava la sua ingratitudine e ordinò ai suoi agenti di rintracciarla e decapitarla senza pietà. Ma la principessa trovò rifugio tra coloro che aiutava, cambiò identità e poté compiere opere di bene per molti anni indisturbata. Poi, una notte, le giunse la notizia che suo padre si era gravemente ammalato. Tornò immediatamente al palazzo reale, preparò una dose di medicina speciale e lentamente guarì il padre. Grato per la sua eccezionale benevolenza e mancanza di rancore, il re implorò il perdono della figlia e, in segno di espiazione, ordinò che le venissero costruite delle statue da collocare in tutto il suo regno.

Si va da Guan Yin per trovare sollievo dai sentimenti di odio verso se stessi. È un po’ come un amico o un familiare ideale, una sorella o una madre immaginaria. Suggerisce alternative al disprezzo di sé. Sa che la benevolenza verso gli altri deve iniziare con l’accettazione di sé.

I suoi occhi gentili e il suo sorriso hanno l’abitudine di far piangere – perché, come sappiamo dai film, il momento in cui si crolla non è sempre o anche solo per lo più quando ci si trova di fronte a un’ostilità palese, ma piuttosto quando, dopo un periodo di difficoltà, si incontra finalmente la gentilezza e lo spazio per ammettere le difficoltà con cui ci si è affaticati per troppo tempo in uno stoico silenzio solitario. Si può essere deboli con Guan Yin, lei non si lascia impressionare dai normali criteri mondani di successo.

Ho avvertito la Sua presenza intorno alla morte di mia madre, dal primo giorno dopo averla accompagnata nel passaggio.
Per 48 giorni, fra cui la dispersione delle sue ceneri come ha chiesto, ho fatto alcune pratiche di accompagnamento ed è stata con noi.
Aveva fatto un disegno per me, che ne rappresentava una forma, quella che cavalca il drago.

Ora è con me, per sempre, sulla pelle e nel cuore dei cuori.

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